Categoria: Storia e Leggende

Venezia ai tempi del Covid-19

Venezia ai tempi del Covid-19: la natura si riprende i suoi spazi

Nel post di oggi vogliamo proporvi alcune immagini scattate a Venezia dopo 2-3 settimane dall’inizio dell’epidemia, trovate su FaceBook.
La massa di turisti che transita durante tutto l’anno a Venezia è impressionante; in conseguenza di questo, pensavamo che la natura ormai fosse arrivata ad un punto di non ritorno. Invece non è così: la capacità di resilienza della natura (capacità di ritornare ad uno stato iniziale) è ancora molto forte. Noi ne siamo felici!
E’ triste vedere le calli di Venezia ai tempi del Covid-19 vuote, ma al tempo stesso è bello vedere le acque limpide dei canali, le papere che fanno il nido sugli imbarcaderi dei pontili, i cigni nuotare per i canali. La natura riprende i suoi spazi e ci manda il chiaro messaggio: stavamo occupando aggressivamente spazi non solo nostri. Il nostro augurio è che questo terribile virus passi presto e che al termine di tutto questo Venezia e il mondo ripartano in modo nuovo e diverso, in armonia con la natura.

Alla fine Venezia saprà accogliere la sfida: i Veneziani sono tosti; ripartiremo alla grande con una Venezia ancor più bella! Sebbene sarà dura ripartire economicamente, ce la faremo.

Fa piacere che non lo pensiamo solo noi, che non siamo campanilisti, ma che lo pensa in realtà tutto il mondo.
Vi alleghiamo un articolo del Guardian:

 

(Per gentile concessione di Jacopo Tiso)

Il Leone di San Marco

Il Leone di San Marco

Il Leone di San Marco: leggenda e simbolo di Venezia… ma perché il Leone?

Il Leone di San Marco, il famoso Leone alato, è per chiunque il simbolo di Venezia.

Il legame fra San Marco e Venezia deriva da un’antica leggenda: l’Evangelista Marco, durante il suo viaggio da Aquileia a Roma, fu sorpreso da una tempesta e trovò riparo in un’isoletta della laguna. Un angelo apparve e gli disse: “Pax tibi Marce, evangelista meus, hic requiescat corpus tuum” (Pace a te Marco, mio Evangelista, qui riposi il tuo corpo). Era una profezia!
Molti secoli dopo infatti il corpo di San Marco fu riportato a Venezia. Passata la tempesta, San Marco proseguì il suo viaggio e infine pare morì ad Alessandria d’Egitto.

Durante la Serenissima, i Dogi miravano ad avere in città il maggior numero di reliquie; esse infatti portavano prestigio e… numerosi pellegrini. Da antichissima data, la comunità Copta di Alessandria sosteneva di custodire le reliquie di San Marco. Questo fatto non aveva lasciato indifferenti i Dogi che miravano ad avere in città almeno uno dei quattro evangelisti. Venne quindi organizzata una missione e, nel 828 d.C., due mercanti veneziani andarono ad Alessandria, trafugarono le spoglie del Santo e le trasportarono fino a Venezia. A bordo del mercantile vi erano: un monaco greco (Staracius) e due tribuni Veneziani (Rustico da Torcello e Bono da Malamocco). Essi riuscirono a superare il controllo doganale nascondendo le reliquie sotto ad un carico di ortaggi e carne di maiale, che i musulmani si rifiutarono di controllare perché considerata impura.

Entrate a Venezia, le reliquie furono nascoste nella Basilica dove furono ritrovate solo nel 1094, il 25 Giugno. San Marco da allora divenne simbolo e Patrono della città e la Basilica assunse grande valore come luogo che custodiva le spoglie di uno dei quattro Evangelisti.

Perché il simbolo del Leone?

Solo dal 1260 circa il Leone di San Marco, rappresentato sotto forma di Leone alato, iniziò a rappresentare San Marco e la Repubblica Serenissima. Perché proprio un Leone alato? Qui ci sono diverse versioni:

  1. motivo principale sembra essere il fatto che nel Vangelo di Marco viene narrato il maggior numero di profezie che Cristo fece riguardo alla propria risurrezione e il Leone, simbolo di forza, rappresenterebbe proprio la risurrezione;
  2. altri dicono che il Leone sarebbe il simbolo di Marco perché il suo Vangelo inizia con San Giovanni Battista che ha una “voce squillante nel deserto”, e quindi paragonata al ruggito del Leone;
  3. altri invece dicono che l’angelo che apparve a San Marco era sotto forma di Leone alato.

Non è quindi certa la ragione della scelta del simbolo Leone alato. Forse sono veri un po’ tutti i motivi di cui sopra. Fatto sta che il Leone alato assunse per Venezia un significato politico, oltre a quello religioso: il Leone simboleggia la forza, le ali l’elevazione spirituale e la libertà. Non solo è simbolo di maestà e potenza ma anche di sapienza e pace per il libro che il Leone regge fra le zampe (nel libro aperto si leggono le parole della profezia dell’Angelo a San Marco). La spada, invece, simboleggia la giustizia. Tutte caratteristiche che la Serenissima sentiva come proprie.

 

Diverse rappresentazioni del Leone di San Marco

L’immagine del Leone può essere rappresentata in diverse posizioni; le più conosciute sono quella in “Andante” e quella in “Moléca”.

– in Andante il corpo del Leone è visto per intero, di profilo, la zampa anteriore destra è poggiata sul libro e il muso in avanti. Le ali, solitamente parallele, possono avere le penne ben distinte o compatte; la coda è più frequentemente a riposo ma anche sollevata. Si pensava che la coda alzata stesse ad indicare una vittoria militare, ma non è storicamente confermato. In alcuni dipinti due zampe poggiano sulla terra e due sul mare, ad indicare i possedimenti della Repubblica Veneziana.

– In Moléca il leone viene rappresentato frontalmente e accovacciato, assumendo quasi la forma di un granchio. La parola Moèca, in veneziano, indica il granchio. Secondo alcuni non solo la forma lo ricordava, ma anche il fatto che in alcune rappresentazioni il leone usciva dall’acqua, proprio come un granchio. La sagoma circolare era l’ideale per essere inserita in stemmi e rilievi rotondi.

Infine, una curiosità: i Leoni hanno sempre affascinato i veneziani e, oltre riempire la città di simboli marmorei (vedi Leggenda dei Leoni dell’Arsenale), anche molti Leoni vivi venivano tenuti nei giardini patrizi. Sembra che attorno al 1300 un Leonessa addirittura partorì a Palazzo Ducale.

San Marco viene festeggiato il 25 Aprile… e per noi Veneziani è la Festa del Bòcolo.

Guardate anche il bellissimo video che segue sul leone alato in Piazza San Marco di  Daniele Zoico – DANTO Production

https://vimeo.com/125063682

Il vero Babbo Natale

 

Nei Paesi protestanti San Nicola, che era un vescovo cattolico, divenne Santa Claus ossia Babbo Natale.
A differenza di Babbo Natale, però, San Nicola è realmente esistito.
San Nicola era il vescovo di Myra (Turchia)  vissuto nel IV secolo. Ci sono poche notizie storiche su di lui e questo ha alimentato la leggenda.
In Italia, la storia e la devozione per San Nicola è molto diffusa in due città: Bari e Venezia.

Nel 1087, quando Myra non fu più in mano ai musulmani, i baresi fecero una spedizione e portarono a Bari le reliquie, cioè le ossa, del santo.
Circa 10 anni dopo anche i veneziani puntarono su Myra e recuperarono altre ossa, lasciate dai baresi nella fretta. I veneziani trasportarono quei resti nell’Abbazia di San Nicolò del Lido, vantando pure loro il possesso delle spoglie del Santo.
Una volta fatto ciò, lo dichiararono protettore della flotta della Serenissima e gli dedicarono molte opere, come il duomo nella città di Sacile, in Friuli, di cui è patrono.

Ai tempi della Repubblica, ma ancora oggi, durante la Festa della Sensa si svolge la celebre cerimonia dello sposalizio con il Mare. Al termine, la messa solenne di ringraziamento viene celebrata proprio nell’Abbazia benedettina di San Nicolò del Lido.
Ma il San Nicola di Bari è lo stesso Nicola di Venezia? Si! Nel 1992, con le analisi del DNA, si è stabilito che i resti appartengono alla stessa persona.
Quindi, a Venezia abbiamo il vero Babbo Natale!

http://www.focus.it/cultura/storia/come-nata-la-leggenda-di-babbo-natale

https://www.venetoinside.com/it/aneddoti-e-curiosita/post/san-nicola-di-mira-santa-klaus/

Il Ferro di Prua

 

Il Ferro di Prua (in veneziano fero da próva o dolfin) è la parte metallica che sta davanti alle gondole. Ha un significato che pochissimi conoscono.

Si dice erroneamente che abbia lo scopo di proteggere la prua da eventuali collisioni e di abbellimento. In realtà il ferro da prua ha una funzione essenziale e ben precisa: essendo molto pesante esso appesantisce la prua della barca mantenendola così sempre in assetto con qualsiasi numero di passeggeri.

Il Ferro racchiude in sé l’essenza di Venezia. La grande “S” Metallica che ne compone quasi la totalità sta a simboleggiare il Canal Grande, di cui richiama la forma. La parte più alta simboleggia invece il cappello del Doge. Una piccola mezzaluna richiama la silhouette del ponte di rialto e il piano del bacino di San Marco. I sei rettangoli nella parte esterna simboleggiano i sei sestieri (quartieri) di Venezia, mentre quello interno richiama la Giudecca. I tre tagli metallici all’interno degli spazi lasciati dai sopracitati rettangoli, simboleggiano invece le tre isole più importanti della laguna veneta: Murano, Burano e Torcello.

Maggiori informazioni: https://it.wikipedia.org/wiki/Gondola

Baciarsi Sotto Il Vischio

Love in Escape Room

 

BACIARSI SOTTO IL VISCHIO: ECCO LA LEGGENDA

Come la tradizione dell’albero di Natale, anche questa ha origini pagane. I druidi, sacerdoti dei Celti, attribuivano al vischio un grande potere poiché è una pianta aerea, cioè che vive attaccata al tronco degli alberi senza toccare terra. Per questo, era considerata dai Celti un simbolo degli dei che vivono in cielo: se avesse toccato la terra con le sue radici, come le altre piante, avrebbe perso i suoi poteri divini. In più, il vischio   può avere effetti curativi, e in alcuni casi può essere anche velenoso . I Druidi lo raccoglievano soltanto in caso di necessità, usando un falcetto d’oro e indossando vestiti bianchi, scalzi e digiuni  (Panoramix, il druido dei fumetti di Asterix, faceva così!).

La leggenda legata al vischio è molto bella. Protagonista la dea Freya, protettrice degli innamorati, e i suoi due figli Balder e Loki. Il primo buono e per questo molto amato da tutti e il secondo invece irascibile, invidioso e di conseguenza temuto. Loki per gelosia ha intenzione di uccidere suo fratello ma la madre Freya, ovviamente, cerca di proteggerlo in tutti i modi. Chiede quindi aiuto agli agenti naturali: Aria, Terra, Acqua, Fuoco, alle piante e agli animali. Si dimentica però di chiedere l’aiuto del vischio, una pianta particolare che non vive né sotto né sopra la terra.

Naturalmente Loki si servì proprio del vischio intrecciato per fare un’arma appuntita con cui uccidere il fratello. Tutto il mondo naturale pianse la morte di Balder compresa Freya. Le sue lacrime caddero sul dardo fatto di vischio e si trasformarono in bacche che magicamente ridonarono la vita al figlio. Da quel giorno Freya come segno di ringraziamento baciava tutti coloro che passavano sotto la pianta di vischio promettendo pace e amore.

C’è chi dice che baciarsi in Escape Room porti molta fortuna. Prenotati al:

https://www.escapevenice.it/it/prenota-ora-il-mercante-di-venezia-escape-room/

 

Venezia e gli Ebrei

Banco Rosso Venezia e gli Ebrei

 

VENEZIA E GLI EBREI… E SHYLOCK DI SHAKESPEARE

Il 29 marzo 1516 il Senato della Repubblica, con un provvedimento che non aveva precedenti nella storia della città, permise agli ebrei di risiedere per la prima volta in maniera stanziale a Venezia, ma nello stesso tempo stabilì che ciò dovesse essere realizzato attraverso la segregazione notturna in un luogo circoscritto. Si costituì così il primo Ghetto della storia.

Il nome di quel luogo a quel tempo era proprio getto perché, ben prima dell’arrivo degli ebrei, vi si trovavano delle fonderie per la costruzione di cannoni per le navi veneziane trasferite più di un secolo prima all’interno dell’Arsenale. Si ritiene che siano stati proprio i primi ebrei, in arrivo dal Nord Europa e di origine ashkenazita, a coniare il termine “ghetto” perché pronunciavano “getto” con la h dura. Si dice anche che sia dovuto alla h muta del dialetto veneziano. In realtà non si sa perché ma la cosa certa è che nacque il primo Ghetto e le prime leggi sulle attività ammesse per gli Ebrei a Venezia.

Un mestiere ammesso dalla Serenissima (oltre a quello del medico e stamperie di libri ebraici) era il prestito di denaro. Inizialmente a Venezia i Cristiani dei Monti di Carità svolgevano tale attività, ma ben presto il prestito di denaro fu considerato contrario ai dettami cristiani, quindi i Monti di Carità furono chiusi.

A Venezia, città di commerci, era necessario che qualcuno prestasse il denaro e per evitare che tale attività non fosse controllata dalla Repubblica, la Serenissima fece svolgere agli Ebrei il mestiere di usuraio. In realtà, gli Ebrei sono documentati a Venezia come prestatori di denaro già dal XIV secolo e la Serenissima “legiferò” su una attività in pratica già in uso. La Serenissima stabilì che il prestito di denaro doveva avvenire con cifre fissate dal governo e a tassi ugualmente stabiliti dalla Repubblica.

Da sempre nell’immaginario collettivo, grazie anche ad una famosa commedia di William Shakespeare ‘Il Mercante di Venezia’ (che è pure il tema della nostra Escape Room), gli Ebrei vengono visti come usurai pieni di denaro e avidi. In realtà essi facevano gli usurai perché la Chiesa e le leggi dei paesi in cui gli Ebrei risiedevano attribuivano tale mestiere solo a loro.

Questa attività veniva svolta a Venezia soprattutto attorno ai tre banchi di pegno (rosso, verde e nero, dal colore delle insegne) e ai vari negozi di strazarìa–il mercato dell’usato –disseminati nel campo.

Questi tre banchi, il rosso il verde e il nero, sopravvissero fino alla fine della Repubblica (1797), poi se ne perse il ricordo. Fino a poco tempo fa era possibile visitare il Banco Rosso, che era stato restaurato e aperto ai visitatori. Lo si può comunque vedere dall’esterno in campo del Ghetto Novo. Sembra che il banco rosso sia uno dei primi banchi di pegni ebraici al mondo.

Il suo nome deriva dalla ricevuta di colore rosso che i clienti ricevevano quando lasciavano in pegno un oggetto e si pensa che il termine bancario ‘andare in rosso’, derivi proprio da questo antico banco di pegni veneziano.

Fonti: “Forse non tutti sanno che… a Venezia” di Alberto Toso Fei

http://www.bancorosso.org/

https://venipedia.it/it/ghetto/i-tre-banchi-di-pegno-e-l’usura

Ponti Votivi

Ponti votivi 2

 

PONTI VOTIVI: LA MADONNA DELLA SALUTE ED IL REDENTORE

Sapete come mai per le feste più importanti i veneziani si costruivano (e costruiscono ancora) ponti votivi galleggianti?

I ponti votivi venivano costruiti per ringraziare Dio della fine di una pestilenza. Venivano costruiti galleggianti perchè, a parte il Ponte di Rialto in Canal Grande, non esistevano ponti fissi!! La tradizione infatti nacque perché solo un ponte – quello di Rialto – fungeva da cardine per l’intera struttura della città e la maggior parte degli spostamenti si faceva in barca. Ancora oggi i ponti sul Canal Grande sono solo quattro (compreso l’ultimo del 2008, il discusso Ponte della Costituzione), e questo contribuisce a mantenere viva la tradizione.

La Serenissima nel 1631 doveva ringraziare la Madonna per aver salvato la città dalla peste e non si poteva certo traghettare tutta la città per il Canal Grande per raggiungere il nuovo Tempio Votivo appunto della “Madonna della Salute”. Venne quindi creato un ponte con barche galleggianti. Il governo decretò allora di ripetere ogni anno, in segno di ringraziamento, la processione in onore della Madonna denominata da allora della “Salute”. La Festa della Madonna della salute, ancora molto sentita dai Veneziani, si celebra il 21 Novembre.

Ma è nato prima il Ponte Votivo della Madonna della Salute o quello della festa Redentore nel Canal della Giudecca  (che si festeggia alla terza domenica di Luglio)?

Il più vecchio è il Ponte Votivo del Redentore costruito dopo la peste del 1577 ed era lungo ben 310 metri! Quindi per i Veneziani costruire il Ponte della Salute, ben più corto, era ormai una bazzecola. Il Ponte del Redentore vince quindi  anche per dimensioni. Quello attualmente costruito è lungo ben 311 metri e pesante 500 tonnellate, in 14 campate sostenute da barche (vedi post https://www.escapevenice.it/it/2018/07/13/festa-del-redentore-la-festa-dei-veneziani/)

La Leggenda Veneziana di Halloween

Halloween Tintoretto

Leggenda della strega e di Marietta Tintoretto – La leggenda veneziana di Halloween 2018

 

È tempo di Halloween così abbiamo cercato una leggenda veneziana sulle streghe da raccontarvi. Fra le tante, una ci è particolarmente piaciuta perché coinvolge il Tintoretto di cui si festeggiano nel 2018 i 500 anni dalla sua nascita! L’abbiamo quindi eletta leggenda di Halloween veneziana per il 2018! L’abbiamo lasciata praticamente uguale alla fonte, tanto è bella. Da: “Alberto Toso Fei: Tintoretto e la strega, in un’oscura leggenda la magia nera compare a Venezia”. Buona lettura.
Venne il tempo per Marietta, la figlia maggiore del pittore Jacopo Tintoretto, di fare la prima comunione. Come ben sapete la casa del Tintoretto al 3399 di fondamenta dei Mori era vicina al convento di Madonna dell’Orto (ed a una delle statue dei fratelli Rioba, vedi foto anche in https://www.escapevenice.it/it/2018/09/04/la-casa-del-cammello/). Al convento andavano i bambini per dieci giorni prima della comunione a ricevere l’eucarestia. Fu così che la prima mattina Marietta incontrò una vecchia che le chiese dove fosse diretta. “A fare la comunione”, rispose lei. “Dì, vuoi diventare come la Madonna?”, incalzò la donna. “Oh, ma è impossibile!” replicò la piccola. “No, se farai come dico. Invece di fare la comunione, tieni la particola in bocca. Poi nascondila a casa in un posto sicuro. Quando ne avrai dieci tornerò, e vedrai che bella sorpresa”.
Per qualche giorno la bimba fece come la donna le aveva detto. Per timore che qualcuno scovasse le particole, le nascose in una scatola nel giardino di casa. Il nascondiglio era in prossimità del piccolo ricovero dove il padre, com’era uso all’epoca, teneva un paio di maiali e un’asina. Cinque o sei che furono le ostie, una mattina le bestie si inginocchiarono di fronte all’abbeveratoio. Non vollero saperne di alzarsi, nemmeno a bastonate. Fu così che la bimba confessò tra le lacrime. Tintoretto, per il lavoro che svolgeva – benché uomo di fede – era a conoscenza di alcune pratiche legate alla cabala e alla magia. Egli sapeva bene che con quel metodo le vecchie streghe ne “reclutavano” di più giovani con l’inganno. Decise di non farne parola con alcuno.
Giunta la mattina del decimo giorno, il pittore istruì la figlia. Una volta ritornata a casa avrebbe lasciato salire la vecchia. La strega non tardò, e Marietta andò ad aprirle. Ma non fece in tempo a varcare la soglia del salone al piano superiore che l’artista l’aveva già aggredita con un bastone nodoso. Dopo le prime legnate, la donna fu lesta a trasformarsi in gatto.

In tale forma iniziò a correre e arrampicarsi lungo le pareti, sui mobili, sui tendaggi. Alla fine, vistasi perduta, lanciò un grido acutissimo. La strega avvolta in una nube nera si scagliò con tale violenza contro la parete che ne uscì all’esterno lasciando un foro nel muro. Nessuno la rivide mai più. Ma Tintoretto, affinché ella non potesse in alcun modo rientrare da dove se ne era fuggita, fece murare a guardia delle pareti domestiche un rilievo di Ercole con una clava, lì dove ancora oggi è visibile.

https://venezia.italiani.it/tintoretto-e-la-strega-in-unoscura-leggenda-la-magia-nera-compare-a-venezia/

900 Anni di Gioco d’Azzardo

900 Anni di Gioco di Azzardo

900 ANNI DI GIOCO DI AZZARDO: DALLA SERENISSIMA AD OGGI

La matina una messeta, dopo pranzo una basseta e la sera una doneta” (alla mattina una messa, dopo pranzo il gioco e la sera una donna) diceva uno dei proverbi veneziani più in voga nel ‘ 700.

Venezia della Serenissima era la capitale del commercio mondiale, paragonabile a Wall Street di oggi (come abbiamo già scritto in un post) ma anche del gioco e paragonabile alla Las Vegas che conosciamo oggi. Era una città vulcanica, incredibile, in continuo fermento.

C’è un curioso episodio tra la storia e la leggenda che fa risalire addirittura al 1172 la prima casa da gioco pubblica, o meglio piazza da gioco. I veneziani, dopo l’ennesimo scontro in Oriente, rientrarono in Laguna con tre colonne come bottino di guerra. Una finì in acqua e non venne più ritrovata. Le altre due rimasero a lungo distese in piazza San Marco perché nessuno riusciva a sollevarle in verticale. Fu emanato un editto e infine un tal Niccolò Barattieri riuscì ad alzarle: ancora oggi sostengono il leone alato dell’ Evangelista e San Teodoro. In cambio Barattieri, architetto e ingegnere, ottenne dal Doge Sebastiano Ziani di poter organizzare qualunque gioco nello spazio tra le due colonne e sui loro gradini. Pochi anni dopo furono emanate le prime leggi repressive: le punizioni corporali e pecuniarie previste erano terribili (berlina, frustate, taglio del naso o delle orecchie…), ma nulla riuscì a sconfiggere nei nobili e nel popolo la voglia di rischiare i propri soldi con i dadi, le carte o le lotterie. Una vera febbre da gioco. Ma a cosa si giocava? A un po’ di tutto, l’importante era giocare e scommettere.

Come indicato nell’ultimo libro di Pier Alvie Zorzi “Da San Marco a Sant’Elena, il cuore del Mondo” (nda: bellissimo! leggetelo) nel 1254 si proibì il gioco nell’atrio di San Marco e questo fa capire quanto il gioco aveva preso i Veneziani che giocavano perfino all’entrata chiesa e pochi anni dopo anche dentro la chiesa! Nel 1292 tentarono di proibirlo ovunque (permessi solo gli scacchi e il gioco delle tavole)!

I soldi li rischiavano tutti: nobili, preti, frati, ebrei, vagabondi, malviventi e forestieri. Così la Serenissima decise di aprire una casa da gioco pubblica, gestita direttamente dal governo con regole ferree, fissate addirittura dal Consiglio dei Dieci. Fu il primo Casinò autorizzato al mondo: era il Ridotto Grande, in Calle Vallaresso, ove oggi sorge l’Hotel Monaco. I croupier erano nobili decaduti; si poteva entrare e giocare solo se con il volto mascherato; la casa veniva aperta a Carnevale, che comunque a Venezia durava quasi sei mesi (da Ottobre in poi).

All’interno del Casinò, oltre al gioco, si poteva trovare “compagnia” ma anche discutere, leggere poesie, suonare o ascoltare uno strumento. Lo sviluppo maggiore del gioco d’azzardo fu nei secoli XVII e XVIII, tanto che a metà del ‘ 700 a Venezia c’erano ben 118 Casini. E la tradizione non è stata accantonata, visto che dal 1938 Venezia è l’ unica città italiana ad avere un Casinò gestito dall’ amministrazione comunale.

Fonti:
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/01/14/sei-secoli-azzardo-nella-serenissima.html
Pier Alvise Zorzi- Pierfranco Fabris “VENEZIA – Da San Marco a Sant’Elena, il Cuore del Mondo”

La “Casa del Cammello”

Cammello  Tre statue  Tintoretto

LA “CASA DEL CAMMELLO”: UN PALAZZO PIENO DI LEGGENDE

In Campo dei Mori 3381 (fondamenta Gasparo Contarini, sestiere di Cannareggio) c’è un singolare palazzo, Palazzo Mastelli appunto, che sulla facciata ha un altorilievo di un cammello. Beh non vi pare strano un cammello a Venezia con tanto di cammelliere?
Campo dei Mori è una delle parti più affascinanti, misteriose e poco conosciute della città, lontano dalle orde di turisti. Il Palazzo era di proprietà di 3 fratelli, Rioba, Sandi ed Afani, venuti da Morea nel Peloponneso, da qui i “Mori” poi detti Mastelli e commerciavano spezie e sete. Si favoleggia che il nome Mastelli derivi da una colorita immagine della loro ricchezza: dai “mastelli”, “mastei” colmi di monete d’oro e d’argento che questi possedevano.
Le statue dei 3 fratelli e di un servitore sono proprio in Campo dei Mori. La statua con la valigia sulle spalle è Rioba e la valigia sta forse a significare il carico di ricchezze che i fratelli si sono portati a Venezia. Gli altri due fratelli hanno i turbanti.
Il palazzo è molto affascinante perché in esso sono presenti tante contaminazioni architettoniche delle culture che sono passate per Venezia e hanno portato e lasciato pezzi della loro storia ed arte (e a noi le contaminazioni piacciono perché portano ricchezza culturale). Il palazzo è del XII secolo (probabilmente del 1112 d.c.): il piano superiore conserva forme gotiche mature nel finestrato e nel balcone d’angolo tipiche di Venezia; la trifora del primo piano non è gotica e il balcone è rinascimentale; una parte di un’ara romana fa da colonna nella finestra d’angolo di sinistra del primo piano; il cornicione alla base del palazzo, in pietra d’Istria e broccatello rosa di Verona, è ornato da rilievi a fogliami e fiori di tipo bizantino e sempre al piano terra archi a tutto sesto sicuramente non bizantini. E altra curiosità (orientale) del palazzo è la piccola fontanella in stile arabo, posta alla base nella parte destra della facciata, che, fino a qualche anno fa, era funzionante. Se ne servivano i gondolieri per dissetarsi e chi con la barca passava per quel rio.
Un palazzo così poteva non avere leggende? Proprio a Venezia dove leggende e miti fanno parte delle pietre delle città? Impossibile! Infatti ci sono ben due leggende…
La prima più romantica e meno nota… chissà se vera.
Leggenda narra che un ricco mercante orientale, dovendo abbandonare la sua patria alla volta di Venezia (proprio uno dei fratelli Mastelli), avesse fatto scolpire sulla facciata della sua nuova dimora veneziana un cammello con cammelliere per renderla facilmente riconoscibile alla sua amata che non aveva accettato la sua proposta di sposarlo: “io dunque parto con il cuore straziato e cercherò di dimenticarti, ma, se un giorno alfine vorrai raggiungermi a Venezia, ti sarà sufficiente chiedere dove si trova la casa del cammello“.
A quanto pare la promessa sposa non si è mai presentata sotto casa del ricco mercante: non si sa se si sia persa tra le calli veneziane o se abbia trovato un bel moro in patria.
La seconda leggenda è più nota ed è la “Leggenda di Rioba” di cui ho sentito narrare varie versioni, tipico della tradizione orale, e vi racconto quella che mi piace di più.
I tre fratelli Rioba, Sandi e Afani (quelli delle statue dell’immagine) erano abili mercanti ma anche dei truffaldini e non si tiravano indietro dall’ingannare per denaro i potenziali clienti. Secondo la leggenda un giorno la vedova di un mercante si recò dai tre fratelli per acquistare da loro delle stoffe che le servivano per continuare il lavoro del marito. I tre mercanti non vedevano l’ora di ingannare una così ingenua signora, incuranti della sua disgrazia. Così iniziarono a decantare un loro comunissimo tessuto di cotone come il tessuto più pregiato e sontuoso di Venezia, giustificandone in questo modo il prezzo esorbitante.
Si narra che il “Sior Rioba”, rivolgendosi alla Signora, disse “Questo è il miglior filato di Venezia, nobildonna, e che il Signore possa mutarci in pietra se non diciamo la verità!” A queste parole la donna, pagata la somma esosa richiesta, prima di andarsene, disse “E io vi ringrazio messeri! E allora che il Signore abbia nei vostri riguardi la stessa cura e attenzione che voi avete avuto per me”. La vedova era molto religiosa e pregò Santa Maria Maddalena di scagliare la sua maledizione sui tre mercanti e per miracoloso prodigio i Mastelli divennero tre statue di pietra che furono messe in una nicchia di Campo dei Mori a monito per quanti li vedevano.
Si narra anche che durante le notti particolarmente fredde lo spirito del Sior Rioba intrappolato nella statua pianga e che i battiti del suo cuore possono essere sentiti da coloro che puri di spirito vi poseranno una mano nel petto.
Se siete puri di spirito e se andate in una notte di inverno in campo dei Mori… provateci e magari sentirete i lamenti di Rioba.
Nonostante tutte le leggende, la famiglia Mastelli è realmente esistita. Nel 1202 la famiglia partecipò alla Quarta Crociata voluta e condotta dal doge Enrico Dandolo. Successivamente aprirono un fondaco dove commerciavano spezie “All’Insegna del Cammello”, in seguito trasferirono la sede e gli affari nell’entroterra veneto dove si estinsero nel 1620, quando morì l’ultimo discendente, un certo Antonio Mastelli.

MA NON E’ FINITA 🙂
Delle quattro statue la più famosa è quella di Rioba, chiamata appunto in dialetto veneziano “Sior Rioba” sulla quale in epoca successiva era usanza appendere dei biglietti e delle scritte satiriche contro il potere delle famiglie ricche durante il periodo di massimo splendore di Venezia. Altre due statue, dette “oracoli” a Venezia venivano usate per appendere biglietti satirici: la statua del Maroco de le pipone (Marocco dei Meloni), un venditore di meloni (questa statua è in Piazzetta San Marco), e la statua del Gobo de Rialto, a San Giacometto.
Nel 1800 la statua del “Sior Rioba” perse il naso questo venne sostituito con un naso di ferro abbastanza improvvisato e da allora si dice che toccare il suo naso porti fortuna.
Nel 1848 il Sior Rioba diede addirittura il nome ad una testata giornalistica satirica “L’ombra de Sior Antonio Rioba”, giornale che contribuì alla diffusione della sua popolarità.
Nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2010 il Sior Rioba venne decapitato e subito si mobilitarono forze dell’ordine e comuni cittadini. Per fortuna la testa venne ritrovata in Calle della Racchetta il 3 maggio e la statua venne prontamente restaurata.

MA NON E’ ANCORA FINITA 🙂
Al numero 3399 della fondamenta dei Mori invece c’è la casa del Tintoretto, proprio accanto alla statua di uno dei fratelli c’è una lapide a ricordo di Tintoretto che qui abitò e un alto rilievo d’epoca romana raffigurante Ercole. Tintoretto è sepolto nella vicina chiesa della Madonna dell’Orto.

Quanta storia in un unico posto!!

Fonti e foto: mia nonna; VeniceWikiVenezia e le sue laguneTurismovenezia.it; venezia museo.it; Tassini “Curiosità veneziane”; https://evenice.it/venezia/monumenti-chiese/palazzo-mastelli-detto-del-cammellohttp://www.veneziaeventi.com/notizie/scopriamo-venezia/la-leggenda-di-sior-rioba/